Società aperte che integrano
tutti
97. Ci sono periferie che si trovano vicino a noi, nel centro di una
città, o nella propria famiglia. C’è anche un aspetto dell’apertura
universale dell’amore che non è geografico ma esistenziale. È la
capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a
quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di
interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o
sorella sofferente, abbandonato o ignorato dalla mia società è un
forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso Paese. Può
essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno
sentire come uno straniero nella propria terra. Il razzismo è un
virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è
sempre in agguato.
98. Voglio ricordare quegli “esiliati occulti” che vengono trattati
come corpi estranei della società.[76] Tante persone con disabilità
«sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare». Ci sono
ancora molte cose «che [impediscono] loro una cittadinanza piena».
L’obiettivo è non solo assisterli, ma la loro «partecipazione attiva
alla comunità civile ed ecclesiale. È un cammino esigente e anche
faticoso, che contribuirà sempre più a formare coscienze capaci di
riconoscere ognuno come persona unica e irripetibile». Ugualmente
penso alle persone anziane «che, anche a motivo della disabilità,
sono sentite a volte come un peso». Tuttavia, tutti possono dare «un
singolare apporto al bene comune attraverso la propria originale
biografia». Mi permetto di insistere: bisogna «avere il coraggio di
dare voce a quanti sono discriminati per la condizione di disabilità,
perché purtroppo in alcune Nazioni, ancora oggi, si stenta a
riconoscerli come persone di pari dignità».[77]
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