Il sapore locale
143. La soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro.
Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non
c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al
popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se
non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su
quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa
di autentico. È possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il
suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio
popolo e alla sua cultura. Ciascuno ama e cura con speciale
responsabilità la propria terra e si preoccupa per il proprio Paese,
così come ciascuno deve amare e curare la propria casa perché non
crolli, dato che non lo faranno i vicini. Anche il bene del mondo
richiede che ognuno protegga e ami la propria terra. Viceversa, le
conseguenze del disastro di un Paese si ripercuoteranno su tutto il
pianeta. Ciò si fonda sul significato positivo del diritto di
proprietà: custodisco e coltivo qualcosa che possiedo, in modo che
possa essere un contributo al bene di tutti.
144. Inoltre, questo è un presupposto degli interscambi sani e
arricchenti. L’esperienza di vivere in un certo luogo e in una certa
cultura è la base che rende capaci di cogliere aspetti della realtà,
che quanti non hanno tale esperienza non sono in grado di cogliere
tanto facilmente. L’universale non dev’essere il dominio omogeneo,
uniforme e standardizzato di un’unica forma culturale imperante, che
alla fine perderà i colori del poliedro e risulterà disgustosa. È la
tentazione che emerge dall’antico racconto della torre di Babele: la
costruzione di una torre che arrivasse fino al cielo non esprimeva
l’unità tra vari popoli capaci di comunicare secondo la propria
diversità. Al contrario, era un tentativo fuorviante, nato
dall’orgoglio e dall’ambizione umana, di creare un’unità diversa da
quella voluta da Dio nel suo progetto provvidenziale per le nazioni
(cfr Gen 11,1-9).
145. C’è una falsa apertura all’universale, che deriva dalla vuota
superficialità di chi non è capace di penetrare fino in fondo nella
propria patria, o di chi porta con sé un risentimento non risolto
verso il proprio popolo. In ogni caso, «bisogna sempre allargare lo
sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a
tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È
necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia
del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con
ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. […] Non è né
la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende
sterili»[125],
è il poliedro, dove, mentre ognuno è rispettato nel suo valore, «il
tutto è più delle parti, ed è anche più della loro semplice somma».[126]
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