160. I gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché
in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo. Infatti, la
categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un
futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi
assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso, ma
piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in
discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo
può evolversi.
161. Un’altra espressione degenerata di un’autorità popolare è la
ricerca dell’interesse immediato. Si risponde a esigenze popolari
allo scopo di garantirsi voti o appoggio, ma senza progredire in un
impegno arduo e costante che offra alle persone le risorse per il
loro sviluppo, per poter sostenere la vita con i loro sforzi e la
loro creatività. In questo senso ho affermato con chiarezza che è
«lungi da me il proporre un populismo irresponsabile».[133] Da una
parte, il superamento dell’inequità richiede di sviluppare
l’economia, facendo fruttare le potenzialità di ogni regione e
assicurando così un’equità sostenibile.[134] Dall’altra, «i piani
assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero
considerare solo come risposte provvisorie».[135]
162. Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare –
perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la
possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno,
le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il
miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza
dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il
denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a
delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di
consentire loro una vita degna mediante il lavoro».[136] Per quanto
cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare
all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società
assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie
capacità e il proprio impegno. Infatti, «non esiste peggiore povertà
di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro».[137] In
una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione
irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di
guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale,
per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per
condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del
mondo e, in definitiva, per vivere come popolo.
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