166. Tutto ciò potrebbe avere ben poca consistenza, se perdiamo la
capacità di riconoscere il bisogno di un cambiamento nei cuori
umani, nelle abitudini e negli stili di vita. È quello che succede
quando la propaganda politica, i media e i costruttori di opinione
pubblica insistono nel fomentare una cultura individualistica e
ingenua davanti agli interessi economici senza regole e
all’organizzazione delle società al servizio di quelli che hanno già
troppo potere. Perciò, la mia critica al paradigma tecnocratico non
significa che solo cercando di controllare i suoi eccessi potremo
stare sicuri, perché il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle
realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le
persone le utilizzano. La questione è la fragilità umana, la
tendenza umana costante all’egoismo, che fa parte di ciò che la
tradizione cristiana chiama “concupiscenza”: l’inclinazione
dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del
proprio gruppo, dei propri interessi meschini. Questa concupiscenza
non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e
semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso
dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico mette a
sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio.
167. L’impegno educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la
capacità di pensare la vita umana più integralmente, la profondità
spirituale sono realtà necessarie per dare qualità ai rapporti
umani, in modo tale che sia la società stessa a reagire di fronte
alle proprie ingiustizie, alle aberrazioni, agli abusi dei poteri
economici, tecnologici, politici e mediatici. Ci sono visioni
liberali che ignorano questo fattore della fragilità umana e
immaginano un mondo che risponde a un determinato ordine capace di
per sé stesso di assicurare il futuro e la soluzione di tutti i
problemi.
168. Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano
farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un
pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di
fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé
stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del
“traboccamento” o del “gocciolamento” – senza nominarla – come unica
via per risolvere i problemi sociali. Non ci si accorge che il
presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di
nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una
parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a
«promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva
e la creatività imprenditoriale»,[140] perché sia possibile
aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione
finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua
a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e
di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la
propria funzione economica.Ed oggi è questa fiducia che è venuta a
mancare».[141] La fine della storia non è stata tale, e le ricette
dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non
essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla
pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di
mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa
al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al
centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali
alternative di cui abbiamo bisogno».[142]
|