Una nuova cultura
215. «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono
nella vita».[204] Tante volte ho invitato a far crescere una cultura
dell’incontro, che vada oltre le dialettiche che mettono l’uno
contro l’altro. È uno stile di vita che tende a formare quel
poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono
un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla
parte».[205] Il poliedro rappresenta una società in cui le
differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a
vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti,
infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è
superfluo. Ciò implica includere le periferie. Chi vive in esse ha
un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si
riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più
determinanti.
L’incontro fatto cultura
216. La parola “cultura” indica qualcosa che è penetrato nel popolo,
nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita. Se
parliamo di una “cultura” nel popolo, ciò è più di un’idea o di
un’astrazione. Comprende i desideri, l’entusiasmo e in definitiva un
modo di vivere che caratterizza quel gruppo umano. Dunque, parlare
di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona
il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti,
progettare qualcosa che coinvolga tutti. Questo è diventato
un’aspirazione e uno stile di vita. Il soggetto di tale cultura è il
popolo, non un settore della società che mira a tenere in pace il
resto con mezzi professionali e mediatici.
217. La pace sociale è laboriosa, artigianale. Sarebbe più facile
contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di
risorse. Ma questa pace sarebbe superficiale e fragile, non il
frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. Integrare le
realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia
di una pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme solo
i puri, perché «persino le persone che possono essere criticate per
i loro errori hanno qualcosa da apportare che non deve andare
perduto».[206] E nemmeno consiste in una pace che nasce mettendo a
tacere le rivendicazioni sociali o evitando che facciano troppo
rumore, perché non è «un consenso a tavolino o un’effimera pace per
una minoranza felice».[207] Quello che conta è avviare processi di
incontro, processi che possano costruire un popolo capace di
raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del
dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!
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