220. Per esempio, i popoli originari non sono contro il progresso,
anche se hanno un’idea di progresso diversa, molte volte più
umanistica di quella della cultura moderna dei popoli sviluppati.
Non è una cultura orientata al vantaggio di quanti hanno potere, di
quanti hanno bisogno di creare una specie di paradiso sulla terra.
L’intolleranza e il disprezzo nei confronti delle culture popolari
indigene è una vera forma di violenza, propria degli “eticisti”
senza bontà che vivono giudicando gli altri. Ma nessun cambiamento
autentico, profondo e stabile è possibile se non si realizza a
partire dalle diverse culture, principalmente dei poveri. Un patto
culturale presuppone che si rinunci a intendere l’identità di un
luogo in modo monolitico, ed esige che si rispetti la diversità
offrendole vie di promozione e di integrazione sociale.
221. Questo patto richiede anche di accettare la possibilità di
cedere qualcosa per il bene comune. Nessuno potrà possedere tutta la
verità, né soddisfare la totalità dei propri desideri, perché questa
pretesa porterebbe a voler distruggere l’altro negando i suoi
diritti. La ricerca di una falsa tolleranza deve cedere il passo al
realismo dialogante, di chi crede di dover essere fedele ai propri
principi, riconoscendo tuttavia che anche l’altro ha il diritto di
provare ad essere fedele ai suoi. È il vero riconoscimento
dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa
mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico,
o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi
interessi.
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