261. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La
guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa
vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non
fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le
ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo
sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”.
Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti
hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle
donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della
loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della
violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro
racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del
male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci
trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace.
262. Neppure le norme saranno sufficienti, se si pensa che la
soluzione ai problemi attuali consista nel dissuadere gli altri
mediante la paura, minacciandoli con l’uso delle armi nucleari,
chimiche o biologiche. Infatti, «se si prendono in considerazione le
principali minacce alla pace e alla sicurezza con le loro molteplici
dimensioni in questo mondo multipolare del XXI secolo, come, ad
esempio, il terrorismo, i conflitti asimmetrici, la sicurezza
informatica, le problematiche ambientali, la povertà, non pochi
dubbi emergono circa l’inadeguatezza della deterrenza nucleare a
rispondere efficacemente a tali sfide. Siffatte preoccupazioni
assumono ancor più consistenza quando consideriamo le catastrofiche
conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi
utilizzo degli ordigni nucleari con devastanti effetti
indiscriminati e incontrollabili nel tempo e nello spazio. […]
Dobbiamo anche chiederci quanto sia sostenibile un equilibro basato
sulla paura, quando esso tende di fatto ad aumentare la paura e a
minare le relazioni di fiducia fra i popoli. La pace e la stabilità
internazionali non possono essere fondate su un falso senso di
sicurezza, sulla minaccia di una distruzione reciproca o di totale
annientamento, sul semplice mantenimento di un equilibrio di potere.
[…] In tale contesto, l’obiettivo finale dell’eliminazione totale
delle armi nucleari diventa sia una sfida sia un imperativo morale e
umanitario. […] La crescente interdipendenza e la globalizzazione
significano che qualunque risposta diamo alla minaccia delle armi
nucleari, essa debba essere collettiva e concertata, basata sulla
fiducia reciproca. Quest’ultima può essere costruita solo attraverso
un dialogo che sia sinceramente orientato verso il bene comune e non
verso la tutela di interessi velati o particolari».[244] E con il
denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari
costituiamo un Fondo mondiale[245] per eliminare finalmente la fame
e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non
ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti
ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa.
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