IL MINISTERO NELLA CHIESA – IL DIACONATO
Nella nostra riflessione sul ministero, vogliamo
partire da un excursus storico, dividendo la storia della
Chiesa in tre epoche:
1) dall’età apostolica
alla svolta costantiniana;
2) dalla svolta
costantiniana al Vaticano II;
3) dal Vaticano II a oggi.
Per ogni periodo ci
facciamo due domande:
- chi è il ministro?
- cosa significa essere
ministro?
1)
Partiamo dal racconto dell’istituzione dei primi sette “diaconi” (At 6,
1-6). L’orizzonte del testo è la vita della comunità. È la vita
della comunità a richiedere l’istituzione di un nuovo ministero. Esso non
è l’unico. Il testo parla di una molteplicità di ministeri: ci sono
i Dodici e i Sette. Oggi, invece, quando pensiamo al ministero nella
Chiesa, pensiamo immediatamente al prete. Se nel NT cercassimo il
corrispettivo del prete, non lo troveremmo, perché nel NT il ministero è
plurale. Il testo, infine, parla di servizio della parola, delle
mense, della preghiera. Il verbo utilizzato è sempre diakonein, il
verbo da cui viene la parola “diacono”. Il “diacono” per il greco del NT è
un servo. Il ministero, dunque, ha a che fare con un servizio: il servizio
del servo. Questo non sarà sempre così evidente nel corso della storia
della Chiesa.
2) Il
secondo periodo di cui ci occupiamo è molto ampio. Nel corso di esso si
verifica una sorta di fenomeno magnetico. Nella Chiesa latina due figure
ministeriali assorbono tutte le altre: il presbitero e il pontefice. La
prima di esse, a livello microscopico, è il presbitero. Il prete diventa
il catalizzatore di tutti i ministeri. Nel 1100 scompaiono i diaconi: un
pezzo del sacramento dell’ordine scompare. Il ministero viene pertanto a
coincidere col presbiterato. L’affermazione più innovativa del Vaticano II
sarà dire che anche l’episcopato è un sacramento. Fino ad allora il
vescovo era un prete che aveva un potere più esteso. Per il resto, non vi
era alcuna differenza tra il prete e il vescovo. A livello macroscopico,
l’altra figura ministeriale che assorbe tutte le altre è il papa. Anche
lui, come il prete, diventa una concentrazione di potere. Nel corso del
Medioevo viene teorizzata la teoria delle due spade: una di esse, il
potere spirituale, è in mano al papa, mentre l’altra, il potere temporale,
è in mano all’imperatore. Ben presto si dirà che entrambe le spade
appartengono al papa, che, per grazia, ne concede una all’imperatore. I
vescovi vengono intesi semplicemente come i luogotenenti del papa. La
pluralità del ministero, dunque, salta e il ministero tende all’unicità.
Questa concezione influisce ancora sul nostro modo di concepire il
ministero. Aggiungiamo un secondo aspetto. Accennavamo alla soppressione
del diaconato. Questo accade, perché il ministero viene interpretato alla
luce del potere temporale. L’autorità del ministro assomiglia
all’autorità di un signore feudale. Nel 1000 scoppia la lotta per le
investiture. Era importante stabilire chi investiva i vescovi, perché i
vescovi erano i signori delle città. Il papa e l’imperatore non si
scontrano attorno a questioni ideali, ma attorno ad una questione
politica. Il ministero assume, nel suo esercizio, la forma del potere
politico. È significativo che San Francesco si sia fatto ordinare appena
diacono. Francesco ha l’ideale della minorità. Nella Chiesa antica essere
ministro ed essere servo erano la stessa cosa. Nella Chiesa medievale non
è più così. Dopo il Vaticano II il papa smetterà le insegne del potere
civile: la tiara, la sedia gestatoria. Questi segni affondavano le loro
radici in questo secondo periodo della storia della Chiesa.
3) Il
Vaticano II coglie che la cosa fondamentale per un credente è il
battesimo. La Chiesa è pensata come popolo di Dio. Il sacerdozio
battesimale, l’offerta della propria vita, è la cosa più importante per un
credente. Il sacerdozio ministeriale non esiste per se stesso, ma esiste
in quanto finalizzato al popolo di Dio. Il prete esiste perché le
persone possano vivere in pienezza il loro battesimo. In secondo luogo il
Vaticano II coglie che il ministero è un servizio. Il popolo di Dio
non è a servizio del vescovo, ma è il vescovo ad essere a servizio del
popolo di Dio. Il terzo elemento individuato dal Vaticano II è che tra il
papa e i vescovi esiste un legame collegiale. Il vescovo non è un
prete che ha più potere. La Chiesa non è una piramide al cui vertice c’è
il papa. Il papa è papa, perché vescovo di Roma, all’interno di un
collegio, formato da tutti i vescovi. La svolta compiuta da Giovanni XXIII
fu la visita pastorale a Roma. Indicò che egli si sentiva papa, in quanto
vescovo di Roma. Questo indica che il ministero non si esercita da soli,
ma all’interno di un collegio. Col Vaticano II si comincia a parlare dei
preti come di un corpo. I preti tra loro sono collegati. L’idea è antica.
Il prete non è pastore di una comunità, ma è collegato agli altri preti.
Noi, invece, siamo abituati a pensare il prete “da solo”, come ce lo fa
vedere la fiction di don Matteo. Al Vaticano II si discute anche
sul diaconato. Recuperare il diaconato significava recuperare qualcosa che
era stato abbandonato per 1000 anni. Significava ripensare tutto.
Significava far sì che uomini sposati potessero accedere al ministero
ordinato.
A
questo punto possiamo approfondire il tema del diaconato, mettendo
in luce alcune prospettive, attraverso le quali è stato pensato il
ripristino del diaconato.
a) Il
diaconato è pensato per il rinnovamento della Chiesa. Non è
pensato, quindi, per lasciare le cose come stanno.
b) Il
diaconato porta nel ministero la grazia del servizio. Il diaconato
ricorda alla Chiesa che ogni ministero è un servizio. Il diaconato toglie
ogni tentazione di esercitare il ministero da padroni.
c) Il
diacono è a servizio dell’annuncio del Vangelo. Ricorda alla Chiesa
che essa vive per annunciare il Vangelo. Pensiamo alla Evangelii
nuntiandi. L’annuncio del Vangelo non è solo fatto dalla Chiesa, ma
anche ricevuto dalla Chiesa. Tutti siamo chiamati alla fedeltà al Vangelo.
Il diaconato ci ricorda che il Vangelo appartiene strutturalmente alla
Chiesa.
d) Il
diaconato è a servizio dei poveri, come ci insegna la tradizione.
Il servizio ai poveri non è opzionale per il cristiano. Non è un atto di
compassione. Affonda le sue radici nel Vangelo. L’annuncio del Vangelo
parte da chi è ai margini, non per escludere chi non è ai margini, ma
proprio perché, partendo di lì, può raggiungere tutti.
e) Il
diaconato ci ricorda che l’annuncio del Vangelo deve avvenire in modo
capillare. Il Vangelo deve essere annunciato dove l’uomo vive, si deve
inserire nella vita. Il Vangelo è più importante dell’etica. Infatti,
rispetto all’etica, qualcuno è dentro, qualcuno è fuori. Rispetto al
Vangelo, invece, non c’è chi è dentro e chi è fuori, perché il Vangelo è
per tutti.
f) Il
diaconato fa sì che vi siano uomini che hanno il ministero ordinato e
vivono le contraddizioni della vita. Il fatto che, all’interno del
ministero ordinato, vi sia qualcuno che è a contatto con la vita e con le
sue contraddizioni è una ricchezza per il Vangelo. Produce un
rinnovamento all’interno del Vangelo, perché obbliga il ministro ad
una sintesi tra il Vangelo creduto e annunciato e le sfide della vita.
Obbliga il ministro ad una maturazione sapienziale della propria fede, a
vantaggio di tutta la comunità.
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