Di cosa
abbiamo bisogno veramente?
I credenti sanno che l’Avvento è il periodo che precede il Natale,
celebrazione della nascita del Figlio di Dio che si fa uomo. Sanno che è
un tempo forte di preparazione e di attesa, per andare incontro al Dio
che viene fra noi, fatto misterioso e sublime che dà senso a tutta la
nostra vita.
I credenti sanno anche che il tempo che precede il Natale, oltre a ciò,
è uno dei momenti più frenetici e faticosi dell’anno, in cui si spendono
tanti soldi, e si fanno cose di cui si stenta a capire il senso.
Essere cristiani, corpo di Cristo vivo e presente nel mondo tanto amato
da Dio, oggi come sempre significa cercare di conciliare in sé queste
contraddizioni, senza disprezzare il mondo e senza dimenticare ciò che
gli dà senso.
L’Avvento può essere un momento prezioso per imparare a vedere “oltre”.
E forse quest’anno più di altri anni. Viviamo momenti difficili in cui
per tanti far quadrare i conti non è semplice.
E i poveri spesso non sono più “là”, sono spesso “qui”, fra i nostri
amici, i nostri vicini, noi stessi.
La Chiesa combatte la miseria e onora la povertà. La differenza non è
solo da cercare sul vocabolario, va cercata nel cuore. È giusto e
doveroso volere per sé e per gli altri una vita decorosa e libera da
affanni. Occorre però vigilare e temere il momento, diverso per
ciascuno, in cui si diventa “ricchi”, in cui cioè le cose a cui si tiene
e a cui si dà valore non sono più quelle “vere”, “belle”, “buone”. Quali
sono queste cose vere, belle e buone? Non è certo in un articolo sul
bollettino parrocchiale che lo può dire: è il confronto onesto e
costante con ciò che sta scritto nel Vangelo.
Per ciascuno, il Vangelo ha la sua speciale parola, che indica dove
impegnarsi per diventare abbastanza limpidi e coraggiosi da riuscire a
vedere e cercare le cose veramente importanti, liberandosi -
impoverendosi - del resto. E il Vangelo dice spesso “non temete”, e
ricorda che Dio ha cura di ciascuno, e che la Provvidenza ha le sue vie
misteriose.
La testimonianza cristiana, in tempi difficili, dovrebbe mostrare il
sorriso della speranza, basata non solo sugli ammortizzatori sociali, ma
sulla fiducia in Dio. Ma di sorrisi se ne vedono troppo pochi sulle
facce dei cristiani, impauriti e rancorosi come “gli altri”. Il timore
del futuro, in tempi incerti, è un sentimento naturale per chiunque
abbia un po’ di buon senso. Ma noi non abbiamo solo buon senso, abbiamo
la fede in Dio, padre amoroso, che, come dice il Vangelo, “sa di che
cosa abbiamo bisogno”.
Lui lo sa, noi lo dobbiamo imparare. Quali sono le cose di cui non
vogliamo e non possiamo fare a meno? E soprattutto, perché?
E una delle vie privilegiate per imparare a impoverirsi delle cose non
importanti, come sempre nella storia della Chiesa, passa per i poveri,
quelli veri, quelli che vivono nella miseria che si deve combattere.
Mentre scrivo, sotto le mie finestre c’è la fila della gente che, dalle
cinque di stamattina, ancora al buio e sotto la pioggia, si è radunata
davanti alla sede della Caritas, in attesa di ciò che la Caritas può
offrire, ma anche della gentilezza e del rispetto con cui viene offerto.
“I poveri li avrete sempre con voi”, dice Gesù. Lui stesso è stato uno
di quei poveri, nato in un caravanserraglio così affollato dalla gente
che viaggiava per il censimento da non esserci posto per deporlo dopo il
parto se non sulla paglia delle mangiatoie degli animali.
Sono gli angeli (per noi, i V-angeli) a far capire a chi vuole ascoltare
che lì c’è molto di più che un bimbo povero.
Chissà se è un caso che alla Caritas, qui sotto, hanno sempre tanto
bisogno di carrozzine, passeggini e roba da bambini per i loro
assistiti.
S. F. |