Il nuovo vescovo di
Bologna
S.E. Mons. Matteo Maria Zuppi
è nato a Roma l’11 ottobre 1955, ordinato presbitero per la diocesi
di Palestrina il 09 maggio 1981, è stato incardinato incardinato a
Roma il 15 novembre 1988.
Rettore
di S. Croce alla Lungara dal 1983 al 2012; Vice Parroco di S. Maria
in Trastevere dal 1981 al 2000; dal 2000 al 2010 ne è divenuto
Parroco; dal 2000 al 2012 Assistente Ecclesiastico Generale della
Comunità di Sant’Egidio; dal 2010 al 2012 Parroco della parrocchia
dei SS. Simone e Giuda Taddeo. Nominato Vescovo Ausiliare di Roma il
31 gennaio 2012, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 14
aprile dello stesso anno. È nota la sua attività a favore dei più
poveri, degli immigrati, dei rom. Nel 1990 svolse con Andrea
Riccardi, Jaime Goncalves e Mario Raffaelli il ruolo di mediatore
nelle trattative che portarono il 4 ottobre 1992 alla firma degli
Accordi di pace di Roma, sancendo la fine delle ostilità in
Mozambico, dopo 17 anni di guerra
civile; Zuppi e Riccardi furono
nominati cittadini onorari.
Nelle
trattative di pace in Burundi: per lui fu possibile ricucire una
possibilità di convivenza tra hutu e tutsi: «davanti a esponenti di
comunità che avevano le mani ancora lorde di sangue costruì il
quadro di una nuova pace, convincendoli della possibilità di
imparare di nuovo a stare insieme».
Formatosi a
Roma nella cultura laica, Zuppi «è a suo agio in ogni ambiente, è
uno che va alla sostanza delle cose senza disperdersi, ha per tutti
un sorriso che travolge ogni resistenza: da lui ci si sente accolti,
anzi, attesi», è
«un uomo mite e forte, profondamente spirituale. Con lui non ci sono
orari, la sua porta è sempre aperta, notte e giorno, in primis per
chi è più al margine. Si fatica a distinguere tra i suoi amici e i
poveri, che amici lo diventano subito, tale è la sua consuetudine
con gli esclusi. Come parroco a Trastevere ha reso la parrocchia un
luogo aperto, dove tutti hanno un loro posto e possono impegnarsi.
La Messa era una vera festa popolare, con la liturgia curatissima, e
i poveri e i disabili come ospiti d’onore, ma con gli intellettuali
perfettamente a loro agio» (virgolettato di Mario Marazziti -
portavoce di S. Egidio)
Ecco come ci saluta:
“Carissimi
e carissime, mi
rivolgo a voi con la familiarità che c’è per l’essere fratelli e
sorelle. Lo siamo e lo scopriremo assieme. Quella di oggi non si può
proprio dire che sia una sorpresa, considerando le tante
anticipazioni pubblicate in queste settimane, iniziate ben prima che
il diretto interessato sapesse qualcosa. Io, comunque, sono in
realtà pieno di stupore. La vita del Vangelo apre sempre nuovi
orizzonti, impensati, imprevedibili, appassionanti. E’
lo stupore di Pietro quando
vede i tanti frutti inaspettati e si rende conto di quanto è
peccatore. La grazia è sempre immeritata. La creta resta creta,
anche se in essa è riversato il tesoro dell’amore di Dio. Conosco il
mio limite e lo avverto ancora di più pensando alla lunga storia di
santità della vostra Chiesa di Bologna.
Vogliatemi
bene e vogliatemi bene per
quello che sono.
Il vostro amore mi cambierà. Mons. Romero amava dire: “Io credo che
il vescovo ha sempre molto da apprendere dal suo popolo”. Avverto il
mio personale limite, ma ho anche la consapevolezza che è Lui che
chiama e non farà mancare la sua provvidenza. Questo mi riempie di
serenità e fiducia.
Inizia per me un nuovo
servizio, insieme a voi. Camminerò
volentieri assieme a voi, perché la Chiesa è mistero
di comunione, visibile e invisibile, famiglia dove paternità e
fraternità non possono mai pensarsi una senza l’altra. Ringrazio
Papa Francesco per la fiducia. E’ il mio unico titolo con il quale
mi presento a voi.
Ringrazio il
Cardinale Caffarra del
suo servizio di questi anni, generoso ed intelligente e gli assicuro
la mia fraternità ed amicizia. Penso al compianto Cardinale Biffi e
ai tanti che hanno lavorato prima di noi nella messe dove io e voi
siamo chiamati ad andare a lavorare, mietendo quello che altri hanno
seminato. Ringrazio e sento la responsabilità di seminare con voi, a
nostra volta, perché altri possano raccogliere frutti. Il tempo è
davvero superiore allo spazio!
Questo anno Papa Francesco lo
ha proclamato anno della misericordia. Non poteva essere migliore
inizio. Ci metteremo assieme per strada, senza borsa e bisaccia, con
l’entusiasmo del Concilio Vaticano II, per quella rinnovata
pentecoste che Papa Benedetto si augurava. Me lo ha suggerito il
Vangelo di domenica scorsa, quello dell’incontro di Gesù con
Bartimeo, cieco e mendicante. Il Signore non rimprovera chi chiede
anche se lo fa in maniera inopportuna. Egli si ferma, chiama vicino
e ascolta, per trovare la risposta alla domanda che agitava
quell’uomo, per comprendere la sua richiesta, così umana e
drammatica, di luce e di futuro. Gesù
non condanna ma usa misericordia “invece
di imbracciare le armi del
rigore”, come diceva Giovanni XXIII. Infatti senza ascolto e
senza misericordia si finisce tristemente per vedere, come continua
Giovanni XXIII, “certo sempre con tanto zelo per la religione”, ma
solo “rovine e guai”. A cinquanta anni dal Concilio voglio pro-vare,
con voi, a guardare il mondo e ogni uomo ancora con quella “simpatia
immensa”, volendo la Chiesa di tutti, proprio di tutti, ma sempre
particolar-mente dei
poveri. Insieme faremo un pezzo di strada. Con la gioia del Vangelo.
Mi
perdonerete all’inizio qualche inflessione romana.
Ma c’è una parola che imparerò subito, perché voi la pronunciate con
un accento che mi ha sempre ricordato un tratto molto materno: “teneressa”.
E’ quella che chiedo alla Madonna
di San Luca, perché mi e ci protegga”.
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