In quale armadio... ?
dal Bollettino dell'Unità
pastorale n. 2/10, maggio 2016
Nell’ambito della riflessione sulla misericordia a cui ci invita
papa Francesco in questo anno del Giubileo straordinario della
misericordia, nello scorso numero del bollettino abbiamo richiamato
le opere di misericordia corporale. Sono quelle “famose”: dar da
mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati...
E poi ci sono
quelle meno famose, le opere di misericordia spirituale: Consigliare
i dubbiosi, Insegnare agli ignoranti, Ammonire i peccatori,
Consolare gli afflitti, Perdonare le offese, Sopportare
pazientemente le persone moleste, Pregare Dio per i vivi e per i
morti.
E qui viene il bello. Finché si tratta di offrire un piatto
di pasta o un maglione a chi ne ha bisogno è tutto facile. La
misericordia è “evidente”, come è evidente il bisogno. Ma quando il
bisogno non è più così evidente, è piuttosto un bisogno del cuore, o
addirittura dell’anima... In quale cucina, in quale armadio troviamo
ciò che serve ad andare incontro con misericordia a queste necessità
dei nostri fratelli, così diffuse, così profonde, così sentite? Che,
ammettiamolo, sono anche le nostre?
Nella nostra Unità pastorale
abbiamo avuto un dono grande nel corso degli ultimi tre anni, ossia
la possibilità di ospitare delle persone senza fissa dimora nei mesi
invernali. Si tratta di senzatetto verso i quali è stato “facile”
esercitare le opere di misericordia corporale: cena, letto,
vestiti...
L’attività, portata avanti insieme ai servizi sociali, da
un lato ci ha fatto capire come questi, anche grazie alla
collaborazione di tante comunità cristiane, offrono ai propri
“utenti” un’assistenza capillare e qualificata.
E dall’altro lato ha
messo in evidenza qualcosa su cui riflettere: ossia che una comunità
cristiana non assiste degli utenti, ma accoglie e accompagna delle
persone.
Quindi, il piatto di pasta e il maglione, come ci hanno
spesso detto i nostri ospiti, si trovano senza troppa difficoltà, a
Bologna nel 2016. Invece l’affettuoso interesse e la sincera
amicizia con cui ogni sera essi venivano attesi e accolti non li
possono offrire i servizi sociali, ma sono altrettanto importanti e
necessari, e sono una specificità che caratterizza invece
un’assistenza offerta da una comunità cristiana.
A Bologna nel 2016
è difficile che si muoia di freddo o di fame. È una crescita nella
sensibilità sociale di cui dobbiamo essere consapevoli e grati.
Però, a Bologna nel 2016, il freddo e la fame ci sono ancora, e non
affliggono solo il corpo. E soprattutto, non c’è bisogno di andare
alla mensa della Caritas per incontrarli.
L’incertezza, l’ignoranza,
il peccato, la tristezza, il rancore, l’insofferenza, la
disperazione… Sono i bisogni “nascosti” che incontriamo per le scale
del nostro condominio, fra i nostri colleghi, tra la nostra
parentela, in chiesa sulla panca accanto a noi.
Bella scoperta,
vero? Ma che ci possiamo fare? Risposta: molto. Intanto, ce ne
possiamo accorgere e non è così scontato. È andare controcorrente
rispetto a una cultura dell’indifferenza e del farsi i fatti propri,
che è il nutrimento del peccato e della lontananza da Dio. Invece,
scegliamo di educare il cuore a fare attenzione alla pena nel cuore
dell’altro. E ad averne compassione. Non vi sono “utenti” e non vi
sono servizi sociali in grado di venire incontro a questa fame e a
questo freddo del cuore e dell’anima. Vi sono solo altri cuori e
altre anime che si sforzano di coltivare in sé l’attenzione e il
desiderio di essere d’aiuto.
Certo, non è facile. Consigliare?
Insegnare? Sgridare? Consolare? La reazione è, da una parte: “Ma non
sono in grado!” – e dall’altra: “Ma chi ti credi di essere?”.
Non
credo di essere proprio nessuno… da solo. Ma con Gesù sono tutto.
Teniamoci stretti a lui, e lui ci insegnerà, da un lato, a coltivare
nel nostro cuore la sua medesima, stupenda compassione. E dall’altro
a riconoscere per noi stessi innanzitutto, e poi a offrire agli
altri, le risposte “vere” a queste miserie spirituali, per portare
con gioia il sollievo ai poveri del cuore e dello spirito.
sf
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