Il grande teologo D.
Bonhoeffer, morto martire in un campo di concentramento nazista il
sabato santo del 1945, nel suo libro Pregare i Salmi con Cristo
scriveva acutamente: «Si rimane sorpresi in principio che nella
Bibbia vi sia un libro di preghiere. La Bibbia non è infatti
tutta una parola di Dio rivolta a noi? Ora, le preghiere sono parole
umane e perciò come possono trovarsi nella Bibbia? Se la Bibbia
contiene un libro di preghiere, dobbiamo dedurre che la parola di
Dio non è soltanto quella che egli vuole rivolgere a noi ma è anche
quella che egli vuole sentirsi rivolgere da noi».
E proprio perché è anche parola umana, quella del Salterio è segnata
dal riso e dalle lacrime degli uomini, si snoda per le strade tra le
speranze e le paure ed è legata a una lingua (l’ebraico), a una
cultura (quella semitica antica), a una storia (quella di Israele),
a uno spazio (quello di Palestina e del nostro pianeta).
È per questo che gli studiosi distinguono nei Salmi vari registri
poetici e spirituali – i cosiddetti generi letterari – che
riflettono appunto i sentimenti, le attese, gli incubi, le gioie
degli uomini di tutti i tempi. Ci sono, allora, gli inni che
celebrano Dio come Creatore del cosmo e Signore della storia; ci
sono le suppliche che raccolgono l’eterna domanda dell’uomo di
fronte alla sofferenza: «Perché, Signore?… Fino a quando, Signore,
starai a guardare?… Fino a quando, Signore, continuerai a
dimenticarmi? Per sempre?».
Ci sono poi i canti di fiducia che esaltano l’abbandono sereno in
Dio anche in mezzo alle oscurità: «Come un bimbo in braccio a sua
madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia», prega il poeta del
salmo 131.
Ci sono poi i carmi messianici che, sul filo della genealogia e
della discendenza di Davide, attendono l’apparizione gloriosa di un
re – Messia, giusto e salvatore. Ci sono i testi sapienziali che si
interrogano sul senso della vita e propongono la fedeltà alla parola
di Dio «come lampada per i passi» sul sentiero dell’esistenza. (...)
Ogni lirica-preghiera che leggeremo ci svelerà un volto sempre
diverso e nuovo, perché ogni orante mette una punta personale, un
tocco intimo, un’annotazione sorprendente, e irripetibile da parte
di altri suoi fratelli di fede, che pure hanno composto preghiere
sullo stesso tema e con la stessa fiducia in Dio.
Ma queste pagine bibliche ci conquisteranno soprattutto con la
ricchezza dei loro simboli, con lo splendore delle loro immagini,
con l’intensità dei loro sentimenti e con la potenza della loro
speranza.
Anche se queste preghiere abbracciano un millennio di poesia e di
fede dell’Israele biblico, la tradizione posteriore le ha messe
tutte sotto il patrocinio ideale di Davide.
Ora, una leggenda giudaica racconta che Davide, inseguito dalle
truppe del suo avversario, il re Saul, vagava per le piste bruciate
del deserto di Giuda. Con sé aveva solo il suo kinnor, la sua cetra.
Una sera coi suoi amici aveva piantato le tende nell’oasi di
Engheddi, «la sorgente del capriolo». A una palma aveva appeso la
sua cetra e si era ritirato nella sua tenda scura come quella dei
beduini. Stanco, Davide sentiva arrotolarsi lentamente su di sé il
filo morbido del sonno. Ma ecco, all’improvviso, nel silenzio
notturno un suono, dolce e straziante, malinconico e gioioso, dalle
mille sfaccettature e modulazioni. Forse era il vento che faceva
vibrare la sua cetra… Davide era uscito nell’oscurità della notte ed
ecco: le dita di un angelo intessevano quella trama musicale sulle
corde della sua lira. E la leggenda conclude: da quella notte Davide
ebbe in dono le dita degli angeli per comporre le armonie dei Salmi.
Da quando i Salmi esistono e salgono al cielo, uscendo dal Tempio di
Gerusalemme, attraversando i tetti delle nostre chiese,
sciogliendosi nell’aria delle processioni, i musicisti e i cantori
cercano di ottenere dita e voci d’angelo come nel racconto giudaico.
I Salmi, infatti, suppongono di essere cantati soprattutto nella
liturgia. Non per nulla in essi si parla spesso di melodie, di
cantori, di musicisti, di fanciulle che battono tamburelli, di danze
con timpani e cetre, di trombe festive, di arpe ecc. Anzi,
nell’ultimo inno, l’alleluia del Salmo 150, ai sette strumenti
dell’orchestra del Tempio (corno, arpa, cetra, timpano, corde,
flauti e cembali) si associa il suono universale di «tutto ciò che
respira».
È per questo che i Salmi, oltre che diventare preghiera personale,
devono essere la base della preghiera pubblica, comunitaria e corale
della Chiesa e dell’intero popolo di Dio. È per questo che i Salmi
devono essere cantati, e diventare la lode della liturgia in cui
tutti sono chiamati a celebrare nella gioia e nel dolore il Signore:
«Voi tutti, giovani e fanciulle, voi vecchi insieme ai ragazzi,
lodate il nome del Signore perché solo il suo nome è meraviglioso!»
(Salmo 148, 12-13).
Gianfranco Ravasi, dalla rivista “Se Vuoi” |