I Vangeli
Beato Angelico, Il discorso della montagna,
Firenze, Museo di San Marco |
La parola “vangelo” deriva dalla parola
greca ευαγγέλιον (euanghélion) e significa letteralmente “lieto
annunzio”, “buona notizia” (eu = buono, anghelion = annuncio). Gli
“angeli”, il cui nome ha la stessa radice, sono coloro che portano gli
annunci di Dio.
Dopo la vita terrena
di Gesù, i suoi apostoli e discepoli iniziarono, secondo il suo comando, a
diffondere la “buona notizia” che lui era venuto a portare. Questo
annuncio fu dapprima orale, divulgato dai seguaci di Gesù negli ambienti
in cui si venivano a trovare, e poi, allargandosi il cerchio dei credenti,
venne pian piano messo per iscritto.
In particolare,
l’annuncio riguardava il fatto stesso della morte e risurrezione di Gesù,
che rappresentò anche il contenuto principale dei “vangeli” nella forma di
racconti scritti di tale morte e risurrezione, preceduta dal racconto
della sua vita terrena. Essendo la forma scritta che nel tempo prese
l’annuncio, tali racconti non sono la cronaca dei fatti della vita di Gesù
come la potremmo intendere noi oggi, ma piuttosto la trasmissione
dell’esperienza che ne fece chi la riferisce. Ve ne furono svariate
versioni nei secoli, e la comunità dei credenti, fin dall’inizio, si pose
il problema di quali fra queste versioni si potevano considerare ispirate
da Dio. Nel corso di un processo durato quattro secoli, la Chiesa, che si
veniva strutturando proprio nutrita da quella Parola che si trasmetteva di
generazione in generazione sotto la guida dello Spirito, fissò infine come
“canoniche” quattro di tali versioni, che avevano acquistato autorevolezza
e il cui contenuto era considerato in linea con la tradizione consegnata
(“traditio” significa “consegna”), ossia trasmessa dai testimoni della
vita terrena di Gesù. Sono le versioni che abbiamo ricevuto anche noi
oggi, come attuali ascoltatori della buona notizia trasmessa nei secoli.
In ordine di tempo,
dalla più antica alla più recente, esse sono la versione del Vangelo
secondo Marco, compagno sia di san Paolo sia di san Pietro nella loro
predicazione; secondo Matteo, apostolo di Gesù; secondo Luca, anch’egli
compagno di san Paolo, e secondo Giovanni, pure apostolo di Gesù. La forma
scritta di questi Vangeli si presume abbia preso la sua espressione
abbastanza definitiva nel corso di un secolo, approssimativamente dagli
anni 50-60 agli anni 150-160 d.C.
I vangeli di Marco,
il più antico, quello Matteo e quello di Luca vengono chiamati “sinottici”
(“sin” = insieme, la parola significa pressapoco “che si possono guardare
insieme), perché seguono lo stesso schema di narrazione e in molti casi
raccontano con parole diverse gli stessi fatti. Il vangelo di Giovanni,
l’ultimo a essere scritto e molto successivo, ha una struttura diversa e
aggiunge fatti ed elementi nuovi, pur seguendo anch’esso lo schema
generale di una prima parte che racconta la vita terrena di Gesù e precede
l’ampio racconto della sua morte e risurrezione.
La Chiesa non
considera il Vangelo, di cui i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni
sono le versioni, una semplice testimonianza storica degli avvenimenti che
hanno segnato il cammino terreno del nostro Signore, ma lo considera la
sua Parola stessa che, sotto la guida dello Spirito, è stata pronunciata e
viene continuamente proclamata, ascoltata e incarnata per formare il suo
corpo, la Chiesa, il quale siamo noi tutti battezzati e credenti nel corso
dei secoli. Come il pane eucaristico, essa non è solo quello che sembra,
ma ha in sé la forza di costruire e formare il corpo di Cristo.
Le versioni dei
vangeli che non sono state considerate canoniche sono state man mano
ignorate e dimenticate dalla comunità credente. Questi vangeli vengono
chiamati “apocrifi” (= nascosti), e in molti casi contengono elementi
fantasiosi e marcati dall’ambito storico e culturale dell’ambiente o dei
personaggi che ne sono gli autori. Nel corso dei primi secoli, infatti, la
comunità dei credenti ha dovuto affrontare il grande problema di chi
proclamava dottrine e interpretazioni del volere di Dio, e del suo farsi
uomo in Gesù, in modo autonomo e senza controllo e condivisione, e senza
radice nella comunità derivata da quella originaria dei discepoli, fondata
da Gesù. Questo creò lacerazioni e grandi difficoltà, e man mano la
comunità riconobbe nella guida di Pietro e dei suoi successori l’autorità
necessaria a definire ciò che era “canonico” e ciò che era “eretico”.
Un’ultima notazione
riguardo gli evangelisti. Spesso nella storia dell’arte e nelle nostre
stesse chiese essi sono rappresentati accompagnati da un simbolo che li
identifica:
Questi simboli
provengono da
un brano del libro
del profeta Ezechiele (1,4-2,1), dove davanti al trono di Dio
stanno le immagini simboliche del creato: quattro figure che hanno insieme
sembianze di leone, il re delle bestie selvatiche, di toro, il più forte
degli animali domestici, di aquila, il più maestoso dei volatili, e di
uomo, la creatura più perfetta.
Queste figure vennero
riprese poi nel libro dell'Apocalisse: (Apocalisse 4,6-8)
«Davanti al trono vi era come un mare
trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi
erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro. Il primo
vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello;
il terzo vivente aveva l’aspetto come di uomo; il quarto vivente era
simile a un’aquila che vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei
ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano
di ripetere:
“Santo, santo, santo
il Signore Dio, l’Onnipotente,
Colui che era, che
è e che viene!”»
Gli antichi autori
cristiani applicarono agli evangelisti le simboliche sembianze dei quattro
esseri alati della profezia di Ezechiele, riconoscendo nel Vangelo il
nuovo trono di Dio.
Matteo fu
simboleggiato nell'uomo, perché il suo Vangelo inizia con l'elenco degli
uomini antenati di Gesù Messia.
Marco fu
simboleggiato nel leone, perché il suo Vangelo comincia con la
predicazione di Giovanni Battista nel deserto, dove c'erano anche bestie
selvatiche.
Luca fu simboleggiato
nel toro, perché il suo Vangelo comincia con la visione di Zaccaria nel
tempio, ove si sacrificavano animali come tori e pecore.
Giovanni fu
simboleggiato nell'aquila, che vola altissima, perché il suo Vangelo si
apre con la contemplazione di Gesù-Dio: “In principio era il Verbo...”
(Gv 1,1).
È facile vedere nelle
chiese, sui Lezionari, sui leggii o nelle decorazioni di amboni, pulpiti
ed altari, la riproduzione dei quattro simboli degli evangelisti: è una
tradizione che vuol sottolineare la fede cristiana nell'unico “Vangelo
quadriforme”. Nonostante sia opera di quattro autori diversi, autore
principale del Vangelo è Gesù stesso, protagonista della storia della
salvezza, mandato da Dio Padre a rivelare agli uomini il nuovo messaggio
dell'amore.
Nella chiesa di
Sant’Andrea a Castel Maggiore, sulle pareti laterali, le statue
delle nicchie sono proprio quelle degli evangelisti con accanto il loro
simbolo.
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